Riaprono i confini del Tibet. Sono già in molti gli escursionisti ed alpinisti che stanno richiedendo i visti per recarsi sul Tetto del Mondo ed affrontare, anche con coraggio, alcuni sport estremi come arrampicata. Di qui l’annosa domanda. Il turismo d’alta quota, lo dobbiamo vedere come una opportunità o minaccia per l’ambiente? Come direbbe un adagio confricano: “La verità sta nel mezzo”.
Indubbiamente le attività turistiche oltre i 6500, ossia alpinismo ed escursionismo, sono una grande boccata d’ossigeno per le piccole famiglie che portano avanti attività turistiche locali. Ma la convivenza tra turisti stranieri e locali non è sempre rosea. Come denuncia Nyima Tsering, Direttore dell’Ufficio Sport Tibetano “negli ultimi tempi abbiamo registrato un notevole accumulo di rifiuti nelle aree turistiche”. Come fare quindi?
L’ufficio ha pertanto creato un team di protezione ambientale e preso misure per affrontare il problema dei rifiuti in alta quota. Tuttavia diventa difficile per i volontari del team lavorare ad altezze così estreme. Normalmente devono portarsi quattro o cinque bombole d’ossigeno e, anche in quel caso, devono esercitare particolari cautele durante il loro lavoro.
Normalmente i membri del team di protezione ambientale vengono affiancati da pastori locali, ben più abituati a sostare a quote simili, per la raccolta di rifiuti ad altezze inferiori a 6500 metri, mentre guide e alpinisti professionisti fanno il lavoro sopra quella quota. Ogni operatore deve riportare a valle circa 8 chili di rifiuti per ricevere il compenso pattuito. Dopo i rifiuti vengono separati e consegnati all’ufficio gestione della Riserva Montana di Qomolangma per venire inviati al riciclo, compostati o distrutti. Un altro sentiero da seguire è anche quella dell’educazione al rispetto per l’ambiente. “Non c’è distinzione di nazionalità. Purtroppo abbiamo avuto testimonianza di molti comportamenti sbagliati che sicuramente non derivano da una cattiva condotta, ma non conoscenza del territorio”, dichiara Nyima Tsering.
Il turismo è sì una risorsa importante, ma si sa trasformando in minaccia per l’habitat tibetano? Gli esperti ancora non lanciano l’allarme, ma la popolazione tibetana si è spontaneamente mossa per ripulire e tirare a lucido le proprio amate terre.
Tra loro vi è Dhondup, medico in un villaggio ai piedi della catena himalayana. Quando inizia la stagione alpinistica, inizia un secondo lavoro come spazzino. Si occupa anche di trasportare i rifiuti separati fuori dalla Riserva Naturale. Dhondup una volta si spingeva anche sopra i 6500 metri, arrivando ad altezze che non aveva mai sperimentato. Adesso si assicura di salire tra i 5800 e i 6500 metri solo una volta ogni tre giorni; così facendo il lavoro non diventa mai troppo stancante.
Già prima della pandemia, l’ufficio dello sport tibetano si é occupato di rinnovare tutte le toilette chimiche, con un modello privo di liquido e dotato di taniche rimuovibili e facilmente trasportabili. Per migliorare questi sforzi l’ufficio ha coinvolto maggiormente la società locale, con l’aiuto ad esempio degli imprenditori locali e di fondi di beneficenza, l’ufficio ha potuto inaugurare il Fondo Protezione Ambientale dell’Himalaya Tibetana, un progetto-pilota che potrebbe presto venire replicato altrove in altri parchi cinesi.
Il fondo non solo aiuta a proteggere le montagne tibetane e il loro ambiente, ma ispirerà gli agricoltori e i pastori a venire coinvolti sempre di più negli sforzi di conservazione, anche con incentivi monetari.
L’alpinismo stesso è ora sottoposto a una minuziosa regolamentazione, tra cui l’alternanza dei percorsi. Di cosa stiamo parlando? Quando la stagione attuale alpinista terminerà in autunno, i tratti e sentieri che sono stati percorsi quest’anno non verranno riaperti ai turisti l’anno successivo. Al contrario i turisti saranno deviati verso sentieri secondari, il tutto finalizzato per permettere una valutazione accurata dell’impatto dell’attività sull’ambiente e permettere allo stesso di assorbire gli effetti e tornare pristino per una stagione successiva.